"TWIST OF FATE"
di Fiona Tomasi
Mi chiamo Jacopo ed ho trent’anni. Vivo a Milano da sempre. Abito da solo in un piccolo appartamento. Ho un buon lavoro, sono redattore in un quotidiano, e non mi faccio mancare niente. Ho un buon successo con le donne, sono un tipo, dicono. Non ho una donna fissa. Ma dopotutto, perche’ dovrei sprecare il mio tempo con una sola, se posso renderne felici tante? Ah, dimenticavo, ho una piccola mania. Si, insomma, mi piace torturare ed uccidere donne. Mai le mie fidanzate...pero’. Be’ ora che ci siamo conosciuti, vorrei raccontarvi cosa mi e’ successo negli ultimi giorni.
Quella sera, come faccio sempre, uscii di casa per andare a fare la spesa nel supermercato del mio quartiere. Entrai nel negozio e cominciai a girare tra gli scaffali. Improvvisamente sentii un brivido corrermi lungo la schiena. La vidi. Non era bellissima ma mi colpi’ subito. Era giovane, non piu’ di 25 anni, mora, occhi castani. Era vestita sportiva, jeans e giubbotto, al collo aveva una sciarpa rossa. Sara’ stato quel colore, cosi’ vivo a colpirmi. Non so. Le mie fidanzate sono molto diverse dalle mie vittime, non hanno la capacita’ di turbarmi, sono degli strumenti di piacere, si, ma il piacere in questo caso e’ solo fisico. Le mie vittime invece mi eccitano anche l’anima. Mi sconvolgono il cuore... Be’, lei era senza dubbio una vittima. Decisi di seguirla, a distanza, senza farmi notare. Ero diventato un maestro in questo campo. Ho imparato che basta far finta di essere convinti di dover andare in un posto preciso, di avere la decisione di chi, seguendo un filo invisibile tra lui e la sua meta, sa esattamente dove andare e che strada percorrere. Non mi noto’. Dio, avrei voluto agire subito. Ma questa sensazione di impazienza ho imparato a domarla, dopo l’esperienza di quattro vittime ho appreso che piu’ si soffre e piu’ il raggiungimento del proprio scopo viene gustato. Quella ragazza sarebbe stata mia. Lo sapevo. Dopo una passeggiata di pochi minuti arrivo’ a casa sua. Soddisfatto girai l’angolo e tornai indietro. Era tardi, e Claudia, la ragazza con cui avevo appuntamento quella sera non amava aspettare.
Quella mattina mi alzai dal letto con una voglia di fare che non provavo da tempo. Corsi alla scrivania e presa la mia agenda. Cominciai a sfogliarla. "Cruento omicidio a Milano" il titolo di un articolo del Corriere, e poi "Il mostro e’ tra noi" preso da un altro quotidiano, che e’ anche il mio giornale preferito perche’ la dovizia di particolari con cui era descritta la mia opera era tale che avrei potuto esserne io l’autore. Ero eccitato. Dovevo iniziare a predisporre tutto quanto. Avevo intenzione di agire quanto prima. Io curo molto i particolari, dal piu’ insignificante aspetto alla dinamica vera e propria dell’attacco. Quella sera, decisi, sarei andato ad aspettarla sotto casa sua. Di solito studio le mie vittime per un paio di giorni. Non tanto per pignoleria, quanto per aumentare il desiderio che cresce in me e quindi gustare di piu’ il momento cruciale. Eppure in questo caso sentivo che non mi sarei dedicato piu’ di tanto allo studio, ma che avrei semplicemente lasciato che le cose proseguissero come stabilito, non da me, ma da quella cosa che chiamiamo destino. Quella sera la aspettai. Eccola, stava arrivando. Aveva dei libri sotto il braccio ed indossava lo stesso giubbotto di due giorni prima. Qualcuno la chiamo’ " Frida!". Che strano nome pensai. Era un ragazzo, probabilmente il suo. Parlottarono per un po’ e poi entrarono insieme nel portone. Mi divertiva l’idea che ben presto l’avrebbe solo ricordata... Mi basto’, tornai a casa.
Quella mattina arrivai al lavoro in ritardo. E per tutta la giornata ero distratto, perso nei miei pensieri. Ma voi gia’ sapete il perche’. Poche ore piu’ tardi avrei eseguito il lavoro per cui sono nato. Avrei seguito il mio destino. Non c’erano dubbi nella mia testa, da quando sono stato in grado di ragionare, sapevo che la mia vita aveva un solo scopo, provocare dolore per ottenere piacere. Ma, vorrei farvi capire, non quel piacere intenso che dura un attimo e poi scompare, tanto e’ grande l’intensita’ del sentimento. No, molto di piu’, sto parlando di quella sensazione sottile, insinuante che perdura, che non svanisce e che quando ricordiamo ci fa provare le stesse emozioni provate nell’attimo stesso in cui si compiva. Io non so se questo e’ giusto oppure no. So solo che questa vocazione me la sono trovata addosso e che la vivo con grande dedizione, come un sacerdote che predica il suo credo. Verso le 18 cominciai a prepararmi. Scelsi con cura i miei vestiti e lucidai le scarpe. Mi stavo preparando alla mia funzione. Uscii di casa, scesi le scale ed entrai in macchina. Imboccai la strada meccanicamente. Avrei potuto farlo anche bendato. Frida mi stava chiamando. Dalla strada vidi che il suo appartamento non era illuminato. Non era ancora rientrata. Aspettai. Poco dopo la vidi arrivare in lontananza. Accesi il motore, mi avvicinai e con la solita scusa che avevo usato in precedenza le parlai. Non fece neppure in tempo a aprire bocca che gia’ l’avevo trascinata in macchina. Era terrorizzata ed io sapevo che in quelle condizioni bastava la meno convincente delle minacce per farla stare immobile, come paralizzata. E cosi’ fu. Mentre mi allontanavo estrassi una pistola dalla tasca e la tenni in vista per qualche secondo. Sapevo gia’ che non l’avrei usata, mi servo solo delle mani, ma volevo passare un po’ il tempo durante il tragitto che stavamo facendo. Arrivai dove avevo previsto. Spensi il motore. La obbligai a scendere. Non parlava e mi guardava spaventata. Mi avvicinai per compiere il mio ed il suo destino. Arretro’, abbasso’ gli occhi e li rialzo’ improvvisamente. Non era piu’ Frida. Lei era me. Lei stava giocando la mia partita. Feci appena tempo a rendermene conto che gia’ avevo la lama in pancia. Frida rideva, rideva, rideva. Mentre morivo potevo sentire cio’ che mi stava dicendo. Mi ringraziava per l’occasione che stava aspettando da una vita... In quell’istante la mia vita fini’. E’ strano ma quando credi di fare qualcosa di unico al mondo, come pensa un pittore con la sua tela, ti accorgi che poi non sei un granche’ speciale perche’ ci sono migliaia di persone che fanno la stessa cosa.
Ora mi trovo qui, all’obitorio. Disteso su un lettino, immobile. Domani forse cambiero’ residenza. Abitero’ un po’ piu’ lontano dal centro in un in un campo, insieme a tanta altra gente tra cui forse qualcuno che ha avuto l’esperienza di conoscermi alle prese con la mia attivita’. Non provo piu’ niente. Mi diverte solo pensare che anche con loro ho qualcosa in comune, una curva del destino ci ha cambiato la vita.
FINE
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